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Il grande fallimento

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di Paul Krugman – 8 gennaio 2013

Siamo di nuovo in quel periodo: il Congresso annuale dell’Associazione Economica Statunitense e organismi affiliati, una specie di fiera medioevale che serve da mercato dei corpi (laureati nuovi di zecca in cerca di lavoro), di libri e di idee. E quest’anno, come nei congressi del passato, c’è un solo tema dominante di dibattito: la crisi economica in corso.

Non è così che dovevano andare le cose. Se si fosse fatto un sondaggio tra gli economisti partecipanti al congresso tre anni fa, la maggioranza di loro avrebbe sicuramente previsto che oggi avremmo parlato di come era terminato il grande crollo, non del perché continua.

Dunque cosa è andato storto? La risposta, principalmente, sta nel trionfo delle cattive idee.

Si è tentati di sostenere che i fallimenti degli economisti negli anni recenti dimostrano che gli economisti non hanno le risposte. Ma la verità è in realtà peggiore: in realtà l’economia tradizionale offriva buone risposte, ma i dirigenti politici e sin troppi economisti hanno scelto di dimenticare o ignorare quello che avrebbero dovuto sapere.

La storia, a questo punto, è piuttosto chiara. La crisi finanziaria ha condotto, attraverso numerosi canali, a una forte caduta della spesa privata: gli investimenti residenziali sono precipitati con lo scoppio della bolla immobiliare; i consumatori hanno cominciato a risparmiare di più e la ricchezza illusoria creata dalla bolla è svanita, mentre i debiti per i mutui sono rimasti. E questa caduta della spesa privata ha condotto, inevitabilmente, a una recessione globale.

Perché un’economia non è come una famiglia. Una famiglia può decidere di spendere meno e di cercare di guadagnare di più. Ma nell’economia complessiva, spendere e guadagnare vanno di pari passo: la mia spesa è il tuo reddito; la tua spesa è il mio reddito. Se tutti cercano contemporaneamente di tagliare le spese, i redditi crollano ed esplode la disoccupazione.

E allora cosa si può fare? Un piccolo shock finanziario, come quello dello scoppio della bolla di Internet negli anni ’90, può essere affrontato tagliando i tassi d’interesse. Ma la crisi del 2008 è stata molto più vasta e anche tagliare i tassi fino a portarli a zero non è stato nemmeno lontanamente sufficiente.

A quel punto dovevano intervenire i governi, spendendo a sostegno delle proprie economie mentre il settore privato ritrovava il suo equilibrio. In una certa misura questo è accaduto: le entrate sono diminuite fortemente nel crollo, ma la spesa è in realtà aumentata mentre si ampliavano programmi come l’assicurazione contro la disoccupazione ed entrava in effetto lo stimolo economico. I deficit di bilancio sono aumentati, ma questo era in realtà una cosa buona, probabilmente il motivo più importante per cui non abbiamo avuto una replica totale della Grande Depressione.

Ma tutto è andato storto nel 2010. La crisi in Grecia è stata presa, sbagliando, per un segnale che tutti i governi avrebbero fatto meglio a tagliare subito le spese e i deficit. L’austerità e diventata l’ordine del giorno e presunti esperti, che avrebbero dovuto saperla più lunga, hanno plaudito al processo, mentre gli avvertimenti di alcuni (ma non abbastanza) economisti, che l’austerità avrebbe fatto deragliare la ripresa, sono stati ignorati. Il presidente della Banca Centrale Europea, ad esempio, aveva affermato confidenzialmente che “l’idea che le misure d’austerità possano innescare la stagnazione è sbagliata”.

Beh, qualcuno di sicuro si è sbagliato.

Nei documenti presentati a questo congresso, probabilmente l’illuminazione maggiore è venuta da uno di Olivier Blanchard e Daniel Leigh, del Fondo Monetario Internazionale. Formalmente il documento rappresenta soltanto le idee degli autori; il signor Blanchard, capo economista del FMI, non è un ricercatore qualunque e il documento è stato diffusamente interpretato come un segno che il fondo ha operato un profondo ripensamento della politica economica.

Poiché quello che il documento conclude non è soltanto che l’austerità ha un effetto deprimente sulle economie deboli, ma che l’effetto negativo e molto più forte di quanto si credesse in precedenza. Il passaggio prematuro all’austerità, è emerso, è stato un tremendo errore.

Ho visto alcuni articoli descrivere il documento come un’ammissione da parte del FMI che esso non sa cosa sta facendo. Ciò manca il bersaglio; il fondo è stato in realtà, a proposito dell’austerità, meno entusiasta di altri grandi protagonisti. Nella misura in cui afferma di aver sbagliato, sta anche affermando che tutti gli altri (salvo quegli economisti scettici) hanno sbagliato ancora di più. E merita credito per essere disposto a ripensare la propria posizione alla luce delle prove.

La notizia davvero brutta è quanti pochi altri protagonisti stiano facendo lo stesso. I leader europei, avendo creato sofferenze a livello di Depressione nei paesi debitori senza ripristinare la fiducia finanziaria, continuano a insistere che la risposta sta in ancora maggiore sofferenza.  L’attuale governo britannico, che ha assassinato una promettente ripresa passando all’austerità, si rifiuta del tutto di prendere in considerazione la possibilità di aver commesso un errore.

E qui, negli Stati Uniti, i Repubblicani insistono che utilizzeranno un confronto sul tetto del debito, un’azione di per sé profondamente illegittima, per esigere tagli alla spesa che ci riporterebbero nella recessione.

La verità è che abbiamo appena sperimentato un colossale fallimento della politica economica e che troppi dei responsabili di tale fallimento conservano il potere e si rifiutano di imparare dall’esperienza.

Paul Krugman: Economista statunitense, professore di Economia e Affari Internazionali alla Scuola Woodrow Wilson di Affari Internazionali e Pubblici dell’Università di Princeton, Centenary Professor alla London School of Economics e autore di editoriali d’apertura per il New York Times. Gli è stato assegnato il Premio Nobel per la Scienza Economica nel 2008.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-big-fail-by-paul-krugman

Originale: The New York Times

 

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

 


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